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Conferenza di Copenhagen

Design sostenibile, la storia
di Interface Flor

di Luca Salvioli

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29 aprile 2010


La sostenibilità diventa "cool" nel l'incrocio tra innovazione e design. Il segreto, nel caso di Interface Flor, è racchiuso in un quadrotto di moquette. Nello studio e nella produzione di pavimenti modulari tessili, oggi anche in ceramica, l'azienda di Atlanta è diventata un punto di riferimento per la tutela ambientale. Una storia nata negli anni cinquanta in Europa dall'idea di un'azienda olandese, Huega, poi entrata in Interface. Proseguita negli anni Settanta sotto la guida del fondatore Ray Anderson, che oggi ha dedicato al suo lavoro un libro e nel 2007 è stato definito "eroe internazionale dell'ambiente" dal Time.

Nel 1994, quando il green business non andava così di moda, Anderson decise che la sua azienda entro il 2020 sarebbe stata a impatto zero. Oggi ha un giro d'affari da un miliardo di dollari circa e, dal 1996 (anno della quotazione a Wall Street), ha ridotto del 71% le emissioni di gas nell'atmosfera, dell'80% il consumo d'acqua per unità di produzione e del 43% il consumo di energia.

L'azienda ha risparmiato 433 milioni di dollari, «ma la cosa più interessante sono i 7 milioni di metri quadrati di nuovi prodotti che abbiamo lanciato» dice Neil Bradham, responsabile per le vendite e il marketing. Il programma "Mission zero" si è articolato in sette punti, tra cui energie rinnovabili, materiali, certificazioni, riciclaggio e riduzione degli scarti coinvolgendo i clienti nella restituzione di vecchi prodotti utilizzati "come cibo" per quelli nuovi. Il termine sostenibilità «è difficile da digerire, ma se si traduce in ricerca, innovazione e design diventa cool».

Un percorso che Bradham ha vissuto sulla sua pelle sin dal suo arrivo, nel 2003. «Venivo da Ernst & Young per sistemare i conti dell'azienda, che passava un periodo finanziario difficilissimo. Abbiamo presentato un piano che puntava sul design come sintesi tra innovazione e sostenibilità. Una volta ottenuti i brevetti gli investitori hanno capito che avevamo un vantaggio competitivo rispetto agli altri». Il Green bulding council americano, gli studi di architettura e le grandi aziende, ricorda Bradham, «hanno spinto verso un modo di vivere e costruire più sostenibile, e questo ci ha aiutato».

29 aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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